P.za S.Sabina, 2 - 16124, Genova
Palazzo Serra in "Città Ateneo Immagine" (Genova University Press-De Ferrari editore)
(Palazzo Marc’Aurelio Rebuffo)
Primo Proprietario: Bartolomeo Rebuffo
Data di fondazione: 1509
Altri proprietari: Serra (1779)
Il Palazzo fu costruito agli inizi del Cinquecento incorporando parte della cinta muraria del 1155.
Nel 1664 fu ampliato e restaurato da Francesco Rebuffo, ottenendo il benestare per l’inclusione nell’elenco degli “alloggiamenti pubblici”. La torre a monte della Porta di Santa Fede – così denominata per la sua vicinanza all’omonima chiesa più nota come “dei Vacca” in quanto sorgeva nei pressi delle case di Vacchero – era già stata acquistata e annessa al palazzo circa venti anni prima.
Una successiva espansione dell’edificio è attuata nel 1779 quando il marchese Stefano Serra accorpa la struttura con l’adiacente palazzo di Via Gramsci, già appartenuto a Bartolomeo Lomellini. La ristrutturazione dell’edificio fu affidata nel 1782 a Gio. Battista Pellegrini che realizzò una lunga galleria coperta all’altezza del piano nobile e progettò le superbe facciate su piazza Santa Sabina – da notare il bel portale d’ingresso con timpano triangolare e fregio ornato da bassorilievi – e su via delle Fontane. All’interno il palazzo, che ospita la Facoltà universitaria di Lingue e Letterature straniere, è decorato da affreschi di Carlo G. Ratti.
Fonte: Palazzi dei Rolli. Testi e schede a cura di Gioconda Pomella. (De Ferrari, Genova, 2003)
Federigo Alizeri
da Guida artistica per la Città di Genova, 1846.
Non dobbiamo passare in silenzio il PALAZZO DE’ MARCHESI VINCENZO, GIAMBATTISTA E FRANCESCO SERRA, e per lo innanzi della famiglia Rebuffo. Giacomo Serra, entratone in proprietà, lo fece ampliare ed abbellire circa il 1780, col nobile intento di ordinare uno splendido albergo ove stanziassero in fraterna società i proprii figli, come leggesi da uno scritto all’ingresso – Liberorum unanimitati – Jacobus Serra – Anno MDCCLXXXII. L’opera de’ restauri fu commessa a Giambattista Pellegrini, un di coloro che sulle tracce dell’immortale Tagliafichi cooperavano al rinnovamento della patria architettura: e fan merito a questo degno seguace la elegante disposizione delle sale, e il gusto degli ornamenti che ci cadranno sott’occhio visitando il palazzo.
Passato il cortile, troviamo al principiar delle scale due statue d’angeli, le quali alla composizione e agli atti mostrano d’essere state eseguite per altro luogo, e meritano un cenno, non così pel prezzo del lavoro come per le notizie storiche a cui si connettono. Sulla fine del XVII secolo erasi deliberato di ridurre a più nobil forma l’altar maggiore della nostra Cattedrale, e Daniello Solaro scultore incaricato di tal lavoro avea già condotto a fine due statue da far parte delle decorazioni, quando per certa caduta sopraffatto da malattia cessò la vita nel 1698. Così l’opera fu interrotta sul verde, né d’allora in poi si rinnovò il pensiero di cotali abbellimenti; e le due statue, comprate forse da’ Rebuffo, passarono ad adornare il loro palazzo nel sito ove le veggiamo al presente. Domina in esse una meccanica paziente e raffinata più che in altri suoi marmi; ma la capricciosa invenzione, e l’eccesso della corruzione berninesca confonde quel merito secondario, e muove a sdegno sulla cecità del suo secolo.
Il nobile appartamento ov’abita il marchese Vincenzo Serra è quello che domanda le nostre osservazioni, poiché oltre al lustro che gli acquistarono i restauri del Pellegrini, ha le stanze decorose d’affreschi, e d’alcun quadro pregevole. I primi vi furono eseguiti nel 1781 da Carlo Giuseppe Ratti, come si rivela dalla data ch’ei lasciò nel dipinto della sala, rappresentante il doge Montaldo che rende la libertà ed il regno a Giacomo Lusignano, col motto: Jacobum Lusinianum libertate et regno Respublica donat. Ne’ lati sono lunette relative alla storia principale, e più di questa, ch’è cosa mediocre, diligenti nell’esecuzione; e tali spazi son circoscritti da plastiche ornamentali di quella finezza che dicemmo praticata in Genova dal Fozzi chiamato a decorare la sala di Palazzo; onde gli si possono attribuire. Voglionsi notare in questa sala due busti in marmo, ritratti, l’uno di Giovanni Carlo Franc. A. Serra, l’altro della giovinezza di Gerolamo, scolpiti quello da Santo Varni, questo da Nicolò Traverso. Opera di Santò Panario è il ritratto del suddetto Gerolamo istoriografo della patria nostra, personaggio di onorevole memoria, e d’alto splendore alla famiglia.
In due salotti son’ affreschi del Ratti, ed altri in un gabinetto non dispregevoli. Molti domanderebbero, perché col risorgere del buon gusto nelle arti, andasse cessando ne’ maggiorenti di ornare i loro soggiorni di sterminate pitture, come veggiamo aver fatto gli antichi, o s’affievolisse ne’ pittori l’abilità di condurle; né la quistione sarebbe facile a sciogliersi… Io lascio ad altri l’esame; contento a dire, che questi affreschi del Ratti segnan gli ultimi periodi della signorile magnificenza che ne’ secoli addietro occupava que’ genii arditi della nostra scuola, ed apparecchiava nella corruzione medesima argomenti di meraviglia alla patria. – Nel salotto a destra, sul cui sfondo è rappresentata l’espugnazione di Gerusalemme fatta da’ crociati, cadon gli occhi sovra alcuni quadri di gran nota, com’è la visita de’ Magi d’un imitatore del Rubens, felicissimo nel contraffarne i colori, e per quel ch’è evidenza, meraviglioso. V’ha un S. Matteo dello Spagnoletto, un Giuseppe che spiega i sogni di Bern. Strozzi, ed altri parecchi da tacersi per brevità. Così faremo di diversi oggetti che troppo ci dilungherebbero nella narrazione; a cagion d’esempio, di due vasi in bronzo ed in smalto donati a questo Marchese dall’Imperatore delle Russie, e un grande crocifisso in avorio, bel lavoro del Veneziano che si custodisce nella piccola cappella, e una collezione di libri e manoscritti, che mentre attestano nel Possessore e dottrina e coltura d’ingegno, fan muto elogio ad una famiglia che fiorì per l’addietro in ogni ragione di vera grandezza.